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“Mio/a figlio/a mi ferisce, mi umilia, mi mente, mi manca di rispetto”: quando la percezione di potere non aderisce al dato di realtà tra genitori e figli.



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Se sei un genitore e hai vissuto la percezione che tuo figlio piccolo potesse ferire, umiliare, mentire, o mancare di rispetto a te in quanto genitore, questo articolo solleverà una riflessione che potrebbe tornarti utile per ragionare su te stesso/a e il rapporto con i tuoi figli.


Ferire, umiliare, mentire e mancare di rispetto sono azioni che richiedono un presupposto fondamentale, ovverosia che chi le compie agisca un potere maggiore sull’altro che le subisce.


Ma come può un bambino agire una tale situazione su un adulto?

Si tratta di una percezione assolutamente non realistica e vediamo adesso il perché.

I bambini, per la natura della loro condizione di dipendenza dalla figura adulta, non possono collocarsi in una relazione di potere con il genitore. I genitori per un piccolo sono fonte di sicurezza e sopravvivenza. Per la sua connotazione dunque di “piccolo e dipendente”, un bambino NON PUO’ avere la capacità di agire un potere superiore su un adulto.


Questo che significa?

Che se un bambino è in grado di far percepire al genitore uno squilibrio svantaggioso di potere nella relazione con lui, la sensazione di impotenza che ne deriva non ha non ha assolutamente a che fare con la sua mamma o il suo papà in quanto adulti, ma con qualche parte emotiva di quel genitore che in passato ha vissuto la percezione di essere ferita, umiliata, tradita e svilita dall’altro. Ed è esattamente quella parte che, nella relazione con il proprio piccolo, finisce per rispondere aggredendo, urlando, minacciando, colpendo o svilendo il proprio bambino al fine di ristabilire la percezione di potere su di lui e sentirsi rassicurata.


Ma cosa implica questo a lungo andare nella relazione con il proprio figlio?

La funzione del genitore è per sua natura quella di fornire sicurezza e regolazione degli stati interni del bambino, siano essi fisiologici o emotivi. Quindi se un genitore, che per sua connotazione ha già, lo ripetiamo, un potere superiore sulla prole, di fronte allo scompenso del figlio tende ad agire con un ulteriore scompenso, questo significa che quell’adulto si sta rapportando al proprio figlio come un bambino non regolato e che sta agendo sul proprio bambino tutte quelle condizioni che hanno portato anche lui a sentirsi oggi un genitore che ha difficoltà a regolarsi e può essere sottomesso dal proprio figlio.


Quando nella nostra storia di bambini viviamo situazioni in cui ci sentiamo spesso ignorati,aggrediti, traditi o umiliati da chi avrebbe dovuto prendersi cura di noi, lì si creano delle ferite che in qualche modo cristallizzano quella parte della nostra storia, che rimane bloccata in attesa di un mutamento. Se non ci rendiamo conto di questo, quell’attesa può diventare eterna e far riemergere quelle stesse ferite in tutte le situazioni che vagamente possono richiamare alla nostra mente emotiva quelle sensazioni, anche lì dove in realtà non stiamo vivendo davvero ciò che stiamo però ricordando dentro di noi.Il legame con i nostri bambini spesso risveglia storie e percezioni della nostra infanzia, portando talvolta ad un vissuto interno che capovolge i ruoli e che ci spinge ad agire come dei piccoli impauriti o arrabbiati, perdendo di vista il nostro ruolo genitoriale e la funzione che con esso ricopriamo.


Riconoscere questo aspetto della nostra storia, guardare con occhi attenti a tutte quelle parti di noi che si sentono ferite, inadeguate e prendercene cura, significa non solo aiutare questi cristalli della nostra vita a sciogliersi, ma anche imparare ad agire la nostra adultità e la nostra genitorialità in primis su noi stessi.


Abbiate cura dei vostri piccoli, sia dentro che fuori di voi.


Dott.ssa Simona Delli Santi, psicologa clinica e della salute

presso Una Stanza per Sé: servizi per il benessere psicologico

infanzia, adolescenza, età adulta.



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